CONTRO IL LAVORO - Giuseppe Rensi

Giuseppe Rensi

CONTRO IL LAVORO

Gwynplaine edizioni

Camerano (AN), 2012, pagine 152

 

“Supponiamo che dal fondo dell’oceano una conchiglia pensante emergesse per la prima volta alla superficie e aprisse  le sue valve alla luce; supponiamo che essa sapesse di poter rimaner solo per pochi istanti al cospetto dell’universo immenso e variopinto e di dover poscia ritornare per sempre negli oscuri e misteriosi abissi del mare. Come si potrebbe giustificare l’affermazione che, non, se mai, necessità bruta, ma dovere morale sia per questa conchiglia quello di dedicare quei pochi istanti al lavoro? Come si potrebbe sostenere che la sua stessa essenza di ente spirituale e pensante non esiga invece che essa li dedichi alla contemplazione del grandioso spettacolo che solo per un momento le si affaccia? E come si potrebbe tributare plauso e approvazione morale e dare la consacrazione di una spiritualità superiore a quella conchiglia se il breve momento consacrasse al lavoro e non alla contemplazione? Ma l’uomo non è altro appunto che quella conchiglia emersa un momento sulla superficie della vita e che fra un istante scomparirà negli abissi.”

 

Il breve e preziosissimo saggio di Giuseppe Rensi indaga scrupolosamente la questione del rapporto fra l’uomo e il lavoro; per far questo Rensi dà una definizione di lavoro e lo fa attraverso il confronto con il gioco: Il lavoro (propriamente detto) è quello che l’uomo svolge, contro le sue naturali inclinazioni e vocazioni, solamente come mezzo per ottenere delle future ricompense; al contrario il gioco è quell’attività che l’uomo svolge per impulso necessario, per realizzare le sue attitudini, con la ricompensa immediata del piacere e della soddisfazione che prova nel farlo; a differenza del lavoro il gioco è quell’attività, spesso faticosa, che l’uomo svolgerebbe anche senza essere pagato. 

Ed è solamente attraverso il  gioco e nel lavoro che ha le caratteristiche del gioco (lavoro – gioco), che gli uomini possono occuparsi dei propri interessi, hanno il tempo da dedicare a se stessi e alla propria spiritualità: solo nel gioco l’uomo è veramente uomo.

Rensi, com’è proprio dei grandi pensatori, non concede risposte o soluzioni al problema, si limita a rivelarne i paradossi e le contraddizioni: il lavoro è contrario all’essenza spirituale dell’uomo, ma al tempo stesso è necessario alla vita (e dunque anche alla sua vita spirituale).

Per Rensi il lavoro, in quanto attività svolta non per la voglia o il gusto di svolgerla, ma per una successiva ricompensa e che è immediatamente a beneficio di altri è sempre essenzialmente schiavitù. Il lavoro dunque è schiavitù, la necessità del lavoro è perenne, dunque perenne dovrà essere anche la schiavitù.

L’unica soluzione irrazionale e contraddittoria – che è una non- soluzione o meglio il riconoscimento dell’insolubilità del problema – è quella della schiavitù così come l’avevano pensata i Greci, che per salvare la libera spiritualità di alcuni negavano la libera spiritualità di altri (li rendevano schiavi – li facevano lavorare).

Per Rensi la schiavitù è un’eterna necessità che si ripropone con forme e nomi diversi, ma che sempre c’è stata e sempre ci sarà.

E oggi chi sono i nuovi schiavi?

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