In altri tempi, il filosofo che non scriveva ma pensava non incorreva nel disprezzo; da quando ci si prosterna davanti all’efficacia, per la massa l’opera è diventata l’assoluto; coloro che non producono opere sono considerati dei «falliti». Ma questi «falliti» sarebbero stati i saggi di quei tempi: essi riscatteranno il nostro tempo proprio per il fatto di non avervi lasciato traccia.
E.M. Cioran
La democrazia divide gli uomini in lavoratori e fannulloni.
Non è attrezzata per quelli che non hanno tempo per lavorare.
Karl Kraus
Antoinette Portis
ASPETTA
il castoro
Milano, 2016
Un’idea semplice, realizzata con la grazia della semplicità, che racconta una storia anch’essa molto semplice utilizzando solamente due semplici paroline: presto e aspetta.
Un libro illustrato per grandi che, con delicata dolcezza, accompagna il lettore nel mondo senza fretta dei più piccoli. Nel mondo in cui tutto è degno della nostra attenzione e nel quale la passione per la vita è massima.
Poche pagine ben fatte, senza inutili virtuosismi, arrivano al punto: svelare tutta l’emozione di una madre, alienata dal dover far presto, che si lascia catturare da questo mondo che fu anche suo e che, benché perduto, grazie al suo bambino, ha potuto ritrovare.
Il Conte augura a tutti un buon riposante Ferragosto e vi dà appuntamento a fine settembre con le sue incredibili nuove avventure.
Il mio consiglio è di non sforzarsi mai, e di passare in ozio e dormendo tutti i giorni e le ore improduttive, piuttosto che in quei giorni voler fare cosa di cui più tardi si sarebbe insoddisfatti.
J. W. Goethe
Giuseppe Rensi
CONTRO IL LAVORO
Gwynplaine edizioni
Camerano (AN), 2012, pagine 152
“Supponiamo che dal fondo dell’oceano una conchiglia pensante emergesse per la prima volta alla superficie e aprisse le sue valve alla luce; supponiamo che essa sapesse di poter rimaner solo per pochi istanti al cospetto dell’universo immenso e variopinto e di dover poscia ritornare per sempre negli oscuri e misteriosi abissi del mare. Come si potrebbe giustificare l’affermazione che, non, se mai, necessità bruta, ma dovere morale sia per questa conchiglia quello di dedicare quei pochi istanti al lavoro? Come si potrebbe sostenere che la sua stessa essenza di ente spirituale e pensante non esiga invece che essa li dedichi alla contemplazione del grandioso spettacolo che solo per un momento le si affaccia? E come si potrebbe tributare plauso e approvazione morale e dare la consacrazione di una spiritualità superiore a quella conchiglia se il breve momento consacrasse al lavoro e non alla contemplazione? Ma l’uomo non è altro appunto che quella conchiglia emersa un momento sulla superficie della vita e che fra un istante scomparirà negli abissi.”
Il breve e preziosissimo saggio di Giuseppe Rensi indaga scrupolosamente la questione del rapporto fra l’uomo e il lavoro; per far questo Rensi dà una definizione di lavoro e lo fa attraverso il confronto con il gioco: Il lavoro (propriamente detto) è quello che l’uomo svolge, contro le sue naturali inclinazioni e vocazioni, solamente come mezzo per ottenere delle future ricompense; al contrario il gioco è quell’attività che l’uomo svolge per impulso necessario, per realizzare le sue attitudini, con la ricompensa immediata del piacere e della soddisfazione che prova nel farlo; a differenza del lavoro il gioco è quell’attività, spesso faticosa, che l’uomo svolgerebbe anche senza essere pagato.
Ed è solamente attraverso il gioco e nel lavoro che ha le caratteristiche del gioco (lavoro – gioco), che gli uomini possono occuparsi dei propri interessi, hanno il tempo da dedicare a se stessi e alla propria spiritualità: solo nel gioco l’uomo è veramente uomo.
Rensi, com’è proprio dei grandi pensatori, non concede risposte o soluzioni al problema, si limita a rivelarne i paradossi e le contraddizioni: il lavoro è contrario all’essenza spirituale dell’uomo, ma al tempo stesso è necessario alla vita (e dunque anche alla sua vita spirituale).
Per Rensi il lavoro, in quanto attività svolta non per la voglia o il gusto di svolgerla, ma per una successiva ricompensa e che è immediatamente a beneficio di altri è sempre essenzialmente schiavitù. Il lavoro dunque è schiavitù, la necessità del lavoro è perenne, dunque perenne dovrà essere anche la schiavitù.
L’unica soluzione irrazionale e contraddittoria – che è una non- soluzione o meglio il riconoscimento dell’insolubilità del problema – è quella della schiavitù così come l’avevano pensata i Greci, che per salvare la libera spiritualità di alcuni negavano la libera spiritualità di altri (li rendevano schiavi – li facevano lavorare).
Per Rensi la schiavitù è un’eterna necessità che si ripropone con forme e nomi diversi, ma che sempre c’è stata e sempre ci sarà.
E oggi chi sono i nuovi schiavi?
John Perry
LA NOBILE ARTE DEL CAZZEGGIO
Sperling & Kupfer
Milano, 2013, pagine 146
A volte capita di riconoscermi nelle parole di un autore, raramente però mi è successo di sentirmi descritto con tanta precisione come da questo libretto. E credo che molti procrastinatori (Il titolo originale è: The Art of Procrastination, la traduzione del titolo – che trovo inadatta – è fuorviante rispetto al contenuto) non possano che riconoscersi in questo lucido e divertente ritratto di un vero e proprio modo di essere, di vivere e confrontarsi con il mondo: quello dei ritardatari cronici, di coloro che rimandano sempre ciò che dovrebbero fare. L’autore, senza mai fare l’errore di trasformare in comportamento virtuoso ciò che in effetti è una mancanza, chiarisce come l’essere procrastinatori in realtà sia un modo alternativo per portare a termine tantissime cose; infatti il procrastinatore sistematico è in grado di portare a compimento un sacco di attività proprio per rimandare quelle più importanti - ed è così che può essere motivato a svolgere anche compiti difficili, impegnativi e necessari quando questi sono un modo per non fare qualcosa di ancora più importante. Un altro utile manuale, questo, per riuscire a valorizzare e a volgere in positivo un tipico difetto che contraddistingue molti di noi, per sentirsi meno in colpa e volersi più bene.
ZHUANG – ZI [Chuang – tzu]
A cura di Liou Kia-hway
Adelphi
Milano, 2013, pagine 412
“Di tutte le cose del mondo, il cielo e la terra sono le più grandi eppure non fanno niente per esserlo”
Anche in questo testo, considerato – alla pari del Tao te ching – uno dei tre grandi classici del Taoismo e non a caso inserito da Roberto Calasso fra i dieci libri indispensabili per chiunque, risuona per intero la natura di coloro che hanno la vocazione a ‘scomparire’: che si identificano con il nulla e sono tutto; che non si preoccupano di ciò che è passeggero e si adattano alla complessità del reale senza l’illusione di poterla dirigere. Privi di ambizioni, vanno senza sapere dove arrivano, tornano senza sapere dove si fermano, non seguono nessuna strada e non conoscono meta. Sono poveri, ma non sono miserabili; non possono avere un’opinione e per questo non giudicano, non si applicano a nulla, non si rallegrano della propria comparsa né temono la propria scomparsa. Non cercano adulatori e non lasciano tracce di sé. I fannulloni senza saperlo seguono la via dei santi taoisti, e senza fare nulla non c’è nulla che non facciano.
Hai tempo tutta la vita per lavorare, ma i tuoi figli sono piccoli una volta sola.
Proverbio polacco